Perché se ogni malato infetta una sola persona l’epidemia si arresta

Perché se ogni malato infetta una sola persona l’epidemia si arresta

Emergenza coronavirus

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LA REPUBBLICA (L.

FRAIOLI) – Ogni sera alle 18 siamo in attesa dei dati drammatici forniti dalla Protezione civile. E poi grafici, tabelle, istogrammi che diano un senso alla contabilità di morti, ricoverati e guariti: ci si improvvisa epidemiologi e statistici, pur di decifrare i numeri di quest’emergenza. Ma sono tanti i quesiti che restano aperti, senza l’aiuto degli esperti. Ecco allora qualche risposta, una bussola per orientarsi in queste ore drammatiche nella scienza delle epidemie.

Che cosa significa che il rapporto di contagio deve scendere da 2,5 a uno?
Una persona infetta da coronavirus, in assenza di misure di mitigazione dell’epidemia, contagia in media altre 2,5 persone. Ciascuna di queste, a sua volta, ne contagia altre 2,5. Con questa progressione, bastano tre “generazioni” di contagi per passare da un infetto a una trentina. Ed è questo che spiega l’andamento esponenziale che caratterizza le fasi iniziali dell’epidemia. Ma R0, il numero di riproduzione di base (questo il nome tecnico del parametro che per Covid-19 vale 2,5) è quello fotografato al “tempo zero”, all’inizio. Perché cambia nel corso dell’epidemia, anzi durante le prime fasi può persino crescere, per esempio negli ospedali dove si accalcano i malati e si infetta anche il personale medico. Con l’adozione delle misure di contenimento inizia a scendere e così succede anche se i guariti acquisiscono immunità al virus, che quindi ha una popolazione minore in cui propagarsi. L’obiettivo è fare in modo che il numero di riproduzione diventi minore di uno.

Perché se scende dal primo valore al secondo è una buona notizia?
Perché se un contagiato infetta in media meno di una persona l’epidemia si arresta. Ecco perché è importante che per l’emergenza coronavirus il numero di riproduzione passi dall’iniziale 2,5 a 1 nel minor tempo possibile.

Perché una curva dei contagi più simile a una collina è meglio di una curva dei contagi più simile a una montagna?
Una curva dei contagi con un picco molto alto e stretto significa che molti si ammalano in un breve periodo di tempo. L’effetto può essere dirompente sul Sistema sanitario perché i malati avranno bisogno di cure tutti contemporaneamente. Inoltre in una situazione simile l’infezione acquista virulenza perché gli ospedali diventano luoghi di concentrazione e di diffusione del contagio. Le misure di distanziamento sociale servono ad “appiattire” la curva dei contagi, facendo in modo che il picco si presenti più tardi e con una altezza inferiore. Alla fine il numero di malati potrebbe essere lo stesso che nel primo caso, ma sarebbero distribuiti su un periodo di tempo molto più lungo, dunque il Sistema sanitario avrebbe il tempo di curare chi ne ha bisogno nella prima fase dell’epidemia per poi dedicarsi a chi contrae il virus nelle settimane successive. E gli ospedali, non sull’orlo del collasso, non sarebbero luoghi di contagio, riducendo così il numero di morti complessivo.

Nel 1918, durante l’epidemia d’influenza Spagnola, la città di Philadelphia aspettò due settimane dal primo caso prima di adottare il distanziamento sociale. St. Louis lo fece dopo due giorni. Nella prima città si ebbe un andamento del contagio a “montagna” con un computo finale di 16mila morti. Nella seconda la curva dei contagi fu a forma di “collina” e i morti circa 700.

Perché se le decisioni vengono prese anche osservando modelli predittivi statistici non siamo però in grado di dire quando ci sarà il picco?
Ci sono modelli che provano a prevedere il picco, ma tra gli esperti c’è chi ritiene che le variabili in gioco siano troppe e troppo poco controllabili, per esempio il livello di adesione della popolazione alle misure di contenimento disposte dal governo. Dal punto di vista matematico, l’avvicinarsi del picco dei contagi si manifesta quando la curva dell’epidemia presenta un flesso, vale a dire cambia da concava a convessa. Al momento, nella curva dei contagi italiani questa variazione non è stata ancora osservata.

Che differenza c’è tra una curva del contagio con l’immunità di gregge o no?
L’immunità di gregge è tecnicamente quella ottenuta con la vaccinazione. Si parla invece di immunità naturale quando compare per effetto della diffusione del virus nella popolazione. In entrambi i casi l’immunità abbassa il valore del numero di riproduzione del contagio e dunque rallenta l’epidemia fino a fermarla. Ma qual è la percentuale di popolazione che deve essere immune perché ciò accada? Dipende da R0, il numero di riproduzione di base del virus. Se R0 vale 2, l’epidemia si ferma quando è immune il 50% della popolazione. Se R0 è pari a 3, il risultato si raggiunge quando è immune il 67% della popolazione. Nel caso del Coronavirus (R0=2,5) l’immunità di gregge si aggira intorno al 60%. Ed era infatti il traguardo del premier britannico Boris Johnson prima del ripensamento e dell’adozione di misure all’italiana. L’immunità (naturale o di gregge) appiattisce la curva epidemica e previene l’esplosione di nuovi focolai. Tuttavia si possono ripresentare picchi di infezione, quando la popolazione perde l’immunità di gregge, ad esempio per l’avvicendarsi delle generazioni (muoiono gli anziani immuni e nascono bambini non immuni). Per questo l’immunità di una popolazione va mantenuta con i vaccini.

Dai dati sui positivi al tampone e sui deceduti si può risalire a una stima dei contagiati effettivi (asintomatici e non)?
Si può fare una stima, a partire dai deceduti di oggi, di quanti erano i contagiati lo stesso giorno di due settimane fa, assumendo che si muoia esattamente due settimane dopo il contagio e che la letalità (rapporto tra morti e postivi al virus) sia compresa tra l’1 e il 5%. Ieri sono morte 427 persone. Se la letalità di Covid-19 fosse dell’1%, vorrebbe dire che il giovedì di due settimane fa si sono contagiate circa 42.700 persone. Se la letalità fosse del 5%, vorrebbe dire che quel giorno di due settimane fa si sono contagiati 8.540 italiani. Dunque il numero reale di nuovi contagiati giovedì 5 marzo è compreso in una forchetta tra 8.540 e 42.700. Mentre i dati ufficiali di quel giorno parlavano di appena 509 casi.